Guardami, guardami, guardami …eee… dormi! by Marco Pacori
26 Mar, 2014
Se pensiamo all’ipnosi ci sorgono immagini di persone che cadono come tramortite o appaiono inespressive, inerti e “disossate”: viene naturale, così accostare questo fenomeno al sonno. Per altro, la stessa radice linguistica della parola (Hypnos, sonno in greco) suggerisce questa associazione e l’espressione più usata dagli ipnotisti è proprio “dormi!”.
Eppure, nonostante sia, in effetti, una credenza molto diffusa, questa condizione non ha niente in comune con il dormire e tanto meno con la perdita di coscienza. Le moderne indagini delle neuroscienze non solo hanno sfatato questa leggenda, ma hanno dimostrato che il cervello durante l’ipnosi è più vivace e “animato” che nel corso dell’esperienza vigile. Tra tutte citiamo uno studio dei biologi Golnaz Baghdadi e Ali Motie Nasrabadi. Questi studiosi, analizzando i tracciati dell’EEG (elettroencefalogramma), hanno messo in chiaro una volta per tutte qual è lo stato di coscienza nel corso di una seduta ipnotica. L’EEG viene prodotto a partire dalle rilevazioni di una serie di elettrodi posti sullo scalpo e registra l’attività elettrica del cervello; quanto più è intensa, tante più onde verranno disegnate su un grafico in uno spazio che corrisponde a un secondo.
Le onde con la frequenza più alta, le beta, corrispondono al normale stato di vigilanza; le delta, le più lente, al momento in cui dormiamo della grossa. L’esito di questo esame ha, in effetti, rilevato onde delta nel solo lobo parietale, l’area cerebrale che controlla il movimento e il cui “assopimento” è responsabile dell’apparenza catatonica del soggetto ipnotizzato. Il resto dell’encefalo e specie la regione frontale funzionava ad onde beta: con una differenza rispetto alla comune condizione di veglia; nell’ipnosi risultavano accelerate e somigliavano a quelle rilevate quanto si è fortemente concentrati.
In linea con questa scoperta, un’altro studio di un team di ricerca capitano dal medico David Spiegel ha dato prova che quando la persona è ipnotizzata assistiamo ad un’eccitazione di una regione del cervello cui è dovuto lo sviluppo dello stato di attenzione e di concentrazione: la corteccia prefrontale e in particolare, le aree note come corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra e corteccia cingolata anteriore.
Nell’ipnosi però questo stato assorto è del tutto passivo e involontario. La corteccia prefrontale è una specie di direttore d’orchestra del cervello: a questa zona vanno imputate le facoltà critiche, la pianificazione dei comportamenti, i giudizi, la capacità di coordinare pensieri e movimento; inoltre, riveste un ruolo chiave nella capacità di mettere a mente qualcosa e di riportarlo alla memoria e, soprattutto, nel controllo degli impulsi e delle emozioni. E qui introduciamo un altro luogo comune sull’ipnosi: l’idea che soggettivamente porti ad uno stato di trance. Questo però è vero, sebbene la condizione che viene vissuta durante l’ipnosi non è quella che tutti immaginano.
La trance ipnotica è caratterizzata da un senso di distacco emotivo; da una sensazione di profonda leggerezza e benessere e dal fatto che le sensazioni fisiche vengano “smorzate” o percepite come lontane anche quando l’ipnotista provoca dei cambiamenti importanti (come quando il soggetto non è in grado di aprire le palpebre, non percepisce un dolore inflitto o quando il suo corpo viene fatto irrigidire al punto da essere messo come un’asse di legno sulle spalliere di due sedie).
Causa di queste esperienze, note come dissociazione, è un temporaneo isolamento della corteccia prefrontale dal resto del cervello. Anche in questo caso, il fenomeno è stato dimostrato da una ricerca che faceva uso dell’EEG.
In conclusione, l’ipnosi è una realtà, ma non ha niente a che fare con il sonno, procura una sensazione di grande rilassatezza e implica una certa perdita di controllo del proprio corpo e dell’attività spontanea di pensiero. Per ora chiudiamo qua, ma nei prossimi numeri parleremo a fondo dell’ipnosi, delle pratiche induttive, delle sue applicazioni e dei suoi stupefacenti effetti.
Marco Pacori
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