AMNESIA IPNOTICA Di Marco Pacori

18 Gen, 2015

Probabilmente, non c’è credenza più diffusa sull’ipnosi che l’idea che il soggetto, al “risveglio”, non ricordi niente. Tuttavia, nonostante la popolarità di questo luogo comune, si tratta solamente di un pregiudizio: tranne, in un ridottissimo numero di casi, chi si sottopone ad un’ipnosi sa cosa è successo e rimane in uno stato di colpevolezza (seppure, profondamente rilassata e passiva) per tutto il corso dell’esperienza.

Questo preconcetto trova la sua origine nelle performance cui assistiamo nelle ipnosi da palcoscenico; qui, chi si presta all’esibizione preferisce, complice l’emozione, dimenticare la mala parata per imbarazzo o vergogna. A qualcuno, poi, basta la semplice convinzione che l’ipnosi comporti amnesia perché nella memoria si produca un blackout.
La convinzione che l’ipnosi produca dimenticanza é legata anche al fatto che viene creduta come uno stato di ottundimento della coscienza; il suo effetto viene, quindi, paragonato a quello di un sedativo; ad esempio, Eliot Hirshman e altri hanno messo in evidenza che dei soggetti sotto l’influenza di midalozam,( una benzodiazepina – il principio attivo degli ansiolitici) sviluppano un amnesia transitoria per quanto accaduto o detto poco prima. Questa sostanza crea una sorta “ingorgo” di una mediatore chimico cerebrale, il GABA, che satura i recettori dell’ippocampo (una regione del cervello essenziale per il consolidamento dei ricordi), generando uno stato di confusione.
Nelle cosiddette “rapine con l’ipnosi” è frequente che la vittima confessi di non aver coscienza di aver consegnato soldi o altri averi ai malviventi. In questo caso, a generare la dimenticanza può contribuire un processo psicologico noto come “rimozione” (cancellazione) indotta presumibilmente dal senso di colpa, ma anche dallo stress (che in quei casi, è molto intenso).
Più precisamente, quando l’individuo è sottoposto ad una forte pressione psicologica, una gettata massiccia di particolari ormoni da parte delle ghiandole surrenali può alterare la capacità del cervello di costruire e “compattare” le tracce mnenoniche.
Sebbene l’amnesia non si produca spontaneamente, può essere però indotta dall’ipnotista. Un’indagine condotta dai ricercatori Avi Mendelsohn Yossi Chalamis, assieme ad altri colleghi ha fatto uso della fMRI (risonanza magnetica funzionale) per indagare quali aree del cervello fossero coinvolte nell’amnesia ipnotica
In chi, da vigile, non era in grado non ricordare il video, le regioni occipitale (che elabora l’esperienza visiva), temporale (sede delle memorie visive) e prefrontale (essenziale per il ricordo di eventi recenti e dare il via all’esecuzione di un’attività) si “spegnevano”.

La regione su cui puntano il dito i ricercatori é soprattutto la corteccia prefrontale, dove la suggestione ipnotica agisce inibendo la decisione di procedere alla recupero del ricordo.
Le tecniche per provoca la dimenticanza con l’ipnosi diverse: si parla, in questo caso, di amnesia generalizzata (tutto quanto avvenuto durante la sessione) o specifica (ricordo del nome, di come si conta da 1 a 10, ecc.).

Per generare l’amnesia si manipolano i processi attraverso cui archiviamo o recuperiamo le informazioni.
Due tecniche, ideate dal famoso ipnotista Milton Errikson, sono tra le più efficaci per “ripulire la coscienza” dei soggetti ipnotizzati.
Si chiamano “amnesia per distrazione” e “amnesia per ristrutturazione del contesto”: nel primo caso, l’ipnotista non appena il soggetto riapre gli occhi lo coinvolge in una conversazione serrata, chiedendogli di ragionare, afferrare concetti complessi e comprendere espressioni verbali elaborate.
Nell’amnesia per ristrutturazione del contesto, si ricrea la stessa situazione che precedeva l’ipnosi: ad esempio, se si sono chiuse le imposte, vanno riaperte; se il soggetto durante l’ipnosi si trovava su una poltrona, lo si far camminare fino alla sedia. Poi, si possono riprendere i temi del discorso svoltosi prima dell’induzione; meglio ancora, se come suggerito da una ricerca condotta dagli psicologi della Iowa State University.Jason Chan e Jessica LaPaglia, si aggiungono informazioni fasulle assieme a fatti o discorsi reali.
In ogni caso, il modo migliore per cancellare il ricordo dell’ipnosi è farla senza dirlo: qualcosa che, avveniva in modo tutt’altro che infrequente nello studio di Erikson: lo scopo? Far sì che il paziente mettesse in atto le suggestioni post-ipnotiche senza coscienza che gli fossero state impartite (e quindi come si trattasse di azioni volontarie).

Marco Pacori 
http://www.linguaggiodelcorpo.it/

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